Addebito della separazione!
Il mio coniuge mi tradisce: gli è addebitabile la separazione? Ed io, coniuge tradito, posso ottenere un risarcimento del danno subito?
Tante sono state le parole spese in riferimento a tale delicata tematica.
Prescindendo dal riscatto morale che potrebbe ottenere colui il quale ottenga una pronuncia di addebito della separazione in danno dell’altro coniuge, sicuramente sotto il profilo giuridico questo è un risultato non facilmente raggiungibile.
Vero è che il l'art. 143 del codice civile, nel prevedere quali siano i diritti ed i doveri reciproci dei coniugi, fa espresso riferimento al dovere di fedeltà. Dunque si tratta di un obbligo sancito giuridicamente.
Nonostante ciò, è necessario chiedersi cosa accada in realtà nel caso di comportamenti contrari a tale dovere.
In primisè doveroso sfatare definitivamente un mito: il tradimento non comporta l’automatico addebito della separazione ai danni del coniuge che l’ha commesso.
Certamente la condotta infedele del coniuge potrà essere fatta valere in sede separativa, ma affinché la stessa possa determinare l’addebito della separazione è necessario dar prova del fatto che la violazione del dovere di fedeltà sia stata la causa esclusiva della crisi coniugale, l’addebito, infatti, non sarà concesso laddove la relazione extra coniugale sia intervenuta in un momento successivo alla crisi della coppia, generata invece da ragioni differenti.
Ciò significa che solo quando la relazione è naufragata proprio per colpa del coniuge adulterino è possibile che il tradimento sia motivo di addebito della separazione.
Ed è facile comprendere che la prova di ciò sia tutt’altro che semplice, con la conseguenza che risulta piuttosto complesso ottenere l’addebito della separazione per tale ragione.
La giurisprudenza, inoltre, è giunta anche a riconoscere in taluni casi al coniuge tradito il diritto al risarcimento del danno patito,inquadrando la violazione degli obblighi coniugali come un vero e proprio illecito civile, scaturente dalla natura giuridica, e non solo morale, dei doveri matrimoniali.
Quest’ultimo assunto era stato sottolineato dalla Cassazione in una sentenza del 2005, in cui si era fatto riferimento al contenuto dell'art. 143 c.c., alle nozioni di dovere, di obbligo e di diritto, nonché all’espresso riconoscimento, nell'art. 160 c.c., della loro inderogabilità ed alle conseguenze di ordine giuridico che l'ordinamento fa derivare dalla loro violazione.
Quanto ai presupposti necessari per il risarcimento, la Corte ha sottolineato che la responsabilità risarcitoria, in quanto tale, richiede, affinché possa configurarsi, la concreta violazione del dovere coniugale, la sussistenza del danno ingiusto e la prova del nesso causale tra violazione commessa e danno procurato.
Sicchè non è sufficiente, ai fini del risarcimento, la pura e semplice violazione dei doveri matrimoniali e , secondo i giudici di legittimità, neanche la pronuncia di addebito della separazione, al punto che , come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, l'azione necessaria ai fini del risarcimento del danno innanzitutto non è impedita dal fatto che i coniugi siano addivenuti a separazione consensuale e, in secondo luogo, è esperibile anche in mancanza di addebito della separazione(anche se da questo indirizzo hanno preso le distanze alcuni Tribunali, affermando che non può essere accolta la domanda di risarcimento danni per violazione dei doveri coniugali se non c'è stata una pronuncia di addebito della separazione, individuandosi dunque un rapporto di accessorietà tra addebito e domanda risarcitoria).